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Anoressia e Bulimia (Erika Salonia Psicologa)

Anoressia e Bulimia

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Nuovi studi sui disturbi alimentari

Gli scienziati stanno scoprendo alcune novità che riguardano l’anoressia e la bulimia, sfatando gli schemi che tali disordini alimentari siano esclusivamente guidati dalla cultura e dall’ambiente.

Le cause attribuite ai disturbi dell’alimentazione sono state, in passato, concentrate su fattori esterni come pressioni culturali, atteggiamenti avversi dei genitori verso il peso e la forma fisica, tali da innescare abitudini alimentari scorrette.

Tuttavia, anche se l’ambito socio-culturale gioca certamente un ruolo nel modellare i comportamenti, alcune ricerche stanno provando che i disturbi alimentari iniziano nel cervello.

Molte persone mangiano molto o vogliono perdere peso, ma relativamente pochi di loro finiscono con l’avere l’anoressia nervosa o la bulimia nervosa, dichiara Walter Kaye, direttore del programma di trattamento e ricerca sui disturbi alimentari all’Università della California, a San Diego.

Infatti, meno dell’1 % delle donne sviluppa l’anoressia, la più grave di queste due malattie. La cultura ha un ruolo, ma forse meno di quanto pensassimo in passato.

I ricercatori stanno individuando le regioni del cervello e i circuiti neurali che sono alla base delle due malattie. Le persone muoiono per questi disturbi ed è fondamentale comprendere i fattori che contribuiscono e sviluppare nuovi approcci terapeutici, afferma Kaye.

Circuiti neuronali

Ciò che accomuna questi disturbi è un approccio pericolosamente disadattivo al cibo.

Non sorprende che il disturbo da alimentazione incontrollata sia spesso associato all’obesità. Le persone con anoressia e bulimia, d’altra parte, temono di ingrassare. I due disturbi spesso insorgono durante l’adolescenza. Secondo uno studio di James Hudson, lo 0,9% delle donne e lo 0,3% degli uomini statunitensi sviluppano anoressia durante la loro vita, mentre l’1,5% delle donne e lo 0,5% degli uomini sviluppano la bulimia (Biological Psychology, 2007).

Trascurare la bulimia può portare a gravi malattie come problemi gastrointestinali, squilibrio elettrolitico e malattie cardiovascolari. 

L’anoressia può causare deperimento muscolare, danni al cuore e al cervello e insufficienza multi-organica. La statistica ha riportato che l’anoressia ha uno dei più alti tassi di mortalità di qualsiasi altro disturbo psichiatrico.

Mentre l’anoressia e la bulimia hanno entrambi caratteristiche distinte, i due disturbi sembrano condividere alcune basi biologiche. Ad esempio, entrambi sono altamente ereditabili. Ma mentre un membro della famiglia potrebbe sviluppare l’anoressia, un altro potrebbe sperimentare la bulimia. E non è infrequente che chi soffra uno dei disturbi sviluppi successivamente anche l’altro. 

Le persone con anoressia e bulimia tendono anche ad avere temperamenti relativamente simili.

I bambini, prima dell’inizio di un disturbo alimentare, tendono ad essere ansiosi, ossessivi, perfezionisti e orientati ai risultati (Kaye).

Ricompensa e Dopamina

Ciò nonostante, i disturbi alimentari hanno radici più complesse dell’avere un temperamento troppo perfezionista. Un sistema di elaborazione dei premi “difettoso” sembra essere una caratteristica importante delle due malattie. Imparare dalle ricompense è un’abilità antica iniziata nel regno animale, e il processo è particolarmente potente nel condizionare i comportamenti alimentari. Quando mangiamo un cioccolatino, siamo ricompensati con il piacere del suo gusto e vogliamo prenderne un altro.

Questo processo si interrompe nell’anoressia, dichiara Kaye. C’è un equilibrio alterato nelle persone con anoressia, in quanto hanno difficoltà a pianificare la ricompensa che è concatenata emotivamente alla punizione.

Una parte importante del sistema di ricompensa sembra essere stato individuato nella dopamina, il neurotrasmettitore che ci motiva a prendere un secondo cioccolatino. L’attività della dopamina è alterata sia nella bulimia che nell’anoressia, ma in modi opposti, secondo la ricerca di Guido Frank, professore di psichiatria all’University of Colorado Anschutz Medical Campus.

Le donne con bulimia hanno una risposta più debole del normale nelle regioni del cervello che fanno parte del circuito di ricompensa correlato alla dopamina, mentre i circuiti di ricompensa nelle donne con anoressia sono eccessivamente sensibili agli stimoli alimentari, come descritto da Frank in una recente analisi (CNS Spectrums, 2015).

Le persone con anoressia riferiscono spesso che consumare un pasto li fa sentire angosciati e sembra esserci una ragione biologica per questa reazione. Kaye e colleghi hanno scoperto che il rilascio di dopamina innesca l’ansia piuttosto che il piacere (International Journal of Eating Disorders, 2012).

Segnali del corpo

Mentre gli scienziati stanno cercando di approfondire il sistema di ricompensa “difettoso”, alcuni studiosi hanno identificato diverse regioni del cervello che possono essere interessate nel processo. Uno è la corteccia orbito-frontale, che è coinvolta nel segnalarci quando smettere di mangiare. La ricerca ha scoperto che le persone con anoressia e bulimia mostrano differenze strutturali e funzionali in quest’area (Guido Frank).

Secondo la psicologa Karin Foerde e colleghi della New York University che hanno analizzato il cervello di donne anoressiche e sane sull’atto di decidere cosa mangiare, anche le donne con anoressia sembrano avere più attività nell’area del cervello legata al comportamento abituale.

Quasi sempre, le persone con anoressia hanno dimostrato una formidabile forza di volontà, in quanto hanno rifiutato il cibo anche quando avevano molta fame. Lo studio di Foerde suggerisce che i comportamenti alimentari maladattivi possono avere più a che fare con l’abitudine che con la forza di volontà (Nature Neuroscience, 2015).

Anche la regione del cervello nota come lobo dell’insula destra (o semplicemente Insula) sembra essere alterata nelle persone con anoressia. Questa parte di corteccia del cervello aiuta a elaborare le sensazioni gustative, ma è anche coinvolto nell’interocezione, ovvero la capacità di percepire i propri segnali corporei (senso di fame, sazietà, emozioni, ecc.).

Consapevolezza e prevenzione

Mentre i ricercatori stanno iniziando a vedere modelli di anomalie cerebrali nei disturbi alimentari, la letteratura è stata incoerente, afferma Frank. Essere gravemente malnutriti può causare cambiamenti nel cervello, molti dei quali tornano alla normalità dopo che una persona inizia una dieta regolare. 

Molto probabilmente, afferma Frank, alcune caratteristiche preesistenti del cervello mettono una persona a rischio per lo sviluppo di un disturbo alimentare, mentre altri cambiamenti si sviluppano in risposta alle proprie abitudini alimentari.

Conclusioni

Una questione che rende questi pazienti molto difficili da trattare è che spesso mancano di consapevolezza della gravità del disturbo e molte volte non hanno una motivazione per cambiare (Christina Wierenga).

Alla luce dei risultati che implicano circuiti di ricompensa difettosi nei disturbi alimentari, Kaye e Wierenga stanno sviluppando un modello di trattamento che enfatizza le conseguenze negative rispetto ai premi. Queste conseguenze non sono destinate a punire i pazienti, piuttosto a guidarli verso un comportamento consapevole, che ponga in essere sentimenti di privilegio.

C’è ancora molto da comprendere sulla neurobiologia dei disturbi alimentari, soprattutto se i fattori di rischio siano o meno simili tra gruppi etnici e socio-ambientali e come questi elementi possano interagire con l’idea di peso e di immagine corporea. 

Utilizzare le intuizioni delle ultime ricerche per motivare ed educare i pazienti e le loro famiglie è un ottimo punto di partenza per trattare i disturbi alimentari.


Nota Bene: La Psicologa Erika Salonia propone argomenti di pertinenza psicologica, con l’obiettivo di sensibilizzare i lettori alla cultura della salute mentale, per promuovere il cambiamento e il benessere psicofisico, migliorare la qualità della vita, stimolare le risorse delle persone e dei contesti e, soprattutto, per impedire che il disagio divenga malattia.

Gli articoli pubblicati in nessun caso possono costituire la prescrizione di un trattamento o sostituire la visita specialistica o il confronto diretto con il proprio medico.

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